lunedì 27 gennaio 2020

La farfalla - Pavel Friedmann

Terezin è una cittadina a circa settanta chilometri da Praga. Quando nel 1944 la Polonia fu invasa dai tedeschi, essa divenne un ghetto per gli Ebrei: tra le sue antiche mura,  a forma di stella, fatte costruire dall'imperatore Giuseppe II d'Austria nel Settecento, vennero ammassati quindicimila bambini e adolescenti, strappati alle loro famiglie e destinati al campo di sterminio di Auschwitz. Di loro non sapremmo nulla se, alla fine della guerra, non si fossero ritrovati in quel luogo pochi fogli di poesia e circa quattromila disegni, ora raccolti nel Museo Ebraico di Praga: i bimbi, sotto la guida di un maestro che faceva loro scuola di nascosto, scrivevano, dipingevano,  cantavano. Tra quegli scritti c'erano i seguenti versi di Pavel Friedmann, che il 29 settembre 1944 fu deportato ad Auschwitz e lì morì.

L'ultima, proprio l'ultima,
di un giallo così intenso, così
assolutamente giallo,
come una lacrima di sole quando cade 
sopra una roccia bianca
-così gialla, così gialla!-
l'ultima,
volava in alto leggera,
aleggiava sicura
per baciare il suo ultimo mondo.
Tra qualche giorno
sarà già la mia settima settimana
di ghetto:
i miei mi hanno ritrovato qui,
e qui mi chiamano i fiori di ruta
e il bianco candeliere del castagno
nel cortile.
Ma qui non ho visto nessuna farfalla.
Quella dell'altra volta fu l'ultima:
le farfalle non vivono nel ghetto. 


Avrei potuto scegliere tra molte cose da scrivere oggi, ma ho deciso di riportare solo una storia, uno dei tanti orrori che durante la Giornata della Memoria è necessario ricordare. 

Chiara

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